Le antiche radici

I Luguri apuani (quelli del pennato)

Se pensiamo alla nostra regione in tempi antichissimi, il popolo che ci viene subito in mente è quello degli Etruschi. Grandi signori, ci hanno lasciato splendide testimonianze della loro esistenza e molte delle nostre città devono le origini proprio a loro. C’è però un’altra popolazione, altrettanto antica e forse anche di più, che ha abitato una vasta area fra l’Arno e la Provenza, dal mare al Po: si tratta dei Liguri, ai quali è stata dedicata una importante mostra a Genova, capitale europea della cultura per il 2004. Attraverso più di novecento oggetti esposti per la prima volta, è stata ripercorsa la storia di quelle tribù, che ebbero contatti culturali e commerciali con gli Etruschi e con i Greci di Marsiglia. «Un popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo»: così venivano identificati nel sottotitolo della manifestazione.

Per noi toscani riveste un particolare interesse il ramo dei Liguri che ha abitato nella parte superiore della Val di Magra, nella Garfagnana, in Versilia, fino alla foce dell’Arno. Gli addetti ai lavori li chiamano Apuo-liguri; comunemente sono detti Liguri-Apuani. Sono oggetto di leggenda, in particolare per quanto riguarda la città di Apua, che si favoleggia fosse alle sorgenti della Magra stessa; sono invece oggetto di storia e molti autori greci e latini ce ne parlano con toni oscillanti fra ammirazione e costernazione. Vedremo il perché.

Partiamo dai dati di fatto: originari forse del delta del Rodano, furono spinti a sud dal sopraggiungere di altre popolazioni e si stanziarono fra Arno e Magra, ma soprattutto sulla fascia collinare e montana dell’entroterra. Rocca di Corvaia, Valdicastello, Minazzana e Levigliani sono alcuni dei loro insediamenti. È proprio in quest’ultimo paese, arroccato sotto la Pania della Croce, che a partire dal 1847 fu trovata e scavata una piccola necropoli, con tombe contenenti ceramiche databili alla seconda metà del III sec. a.C. Se la sepoltura di un’antichissima signora ha restituito fibule, anelli di bronzo, una collana d’ambra ed un attrezzo per tessere, ad indicare il suo lavoro e la cura della propria eleganza, le armi e l’ascia trovate nella tomba dell’uomo hanno raccontato una vita di caccia, di lotte e di fatiche, a conferma di ciò che nel I sec. a.C. scriverà lo storico Diodoro Siculo. Questi, dopo aver descritto il paese fitto di boschi che i Liguri abitavano, narra che alcuni di essi passavano l’intera giornata a tagliare alberi con le asce che portavano sempre con sé. L’apuano di Levigliani se l’è portata anche nel mondo dei morti. Ancora più indietro pare risalire la loro presenza nella Valle del Serchio, forse al sec.IV. Abitavano in piccoli villaggi visibili l’uno dall’altro a scopo di difesa. Nel Sarzanese la loro civiltà ha lasciato statue-stele di grande fascino, poi raccolte al Museo di Pontremoli.

Li ha resi famosi la loro accanita resistenza ai Romani che, durante l’avanzata nella piana di Lucca e in Versilia, entrarono in contatto con un «durum in armis genus», un popolo forte, alla lettera «tosto», nell’uso delle armi, come scrive Livio. Gli Apuani non volevano cedere la loro terra e cominciarono ad attuare una lunga serie di episodi di guerriglia, poiché non avevano un esercito che potesse reggere il confronto con le legioni. Sempre Livio li definisce «un nemico che pareva fatto apposta per mantenere nei Romani l’allenamento militare durante i periodi di intervallo fra le grandi guerre». Si erano specializzati in scorrerie contro le colonie del litorale ed avevano attaccato perfino Pisa. Operavano in un territorio montuoso e difficile, con sentieri stretti e dirupati, che essi conoscevano benissimo; piombavano all’improvviso addosso ai Romani e nel 187 inflissero al console Q. Marcio la perdita di quattromila uomini e di tre insegne. La risposta fu terribile: nel 180 quarantatremila Apuani vennero deportati nel Sannio; i superstiti, non domi, già nell’anno successivo insorsero e di nuovo altre settemila persone furono costrette al sud. Soltanto nel 155 la loro sconfitta fu definitiva e al console Claudio Marcello fu decretato il trionfo per avere definitivamente risolto il problema dei Liguri Apuani.

Le popolazioni che abitano quelle terre amano rievocare queste antiche storie: nonostante la deportazione, i minazzanesi, quelli di Levigliani, i versiliesi della montagna, gli abitanti di Filattiera e molti altri riconoscono negli antichi guerrieri (o guerriglieri) che tennero in scacco i Romani gli antenati di cui vantarsi.

di Elena Giannarelli dal sito: http://www.toscanaoggi.it/



Tutti i santi giorni che Nostro Signore mette in terra usiamo strumenti ed utensili;per le nostre mani saranno passati migliaia di volte e spesso ignoriamo la loro origine e pensare che abbiamo uno strumento,un attrezzo che è tipicamente garfagnino e la sua genesi si perde nella notte dei tempi, si mescola fra i riti ancestrali e le furibonde guerre di quei tempi, figurarsi con questi nobili natali oggi viene usato dai boscaioli e dai giardinieri per tagliare i rami,le fronde,per appuntire i pali, per togliere la corteccia e così via…Questo attrezzo è il “pennato”.Oggi siamo sulle tracce delle rocce sacre dei Liguri-Apuani:le “Rocce dei pennati”.
Nelle nostre Alpi Apuane sono stati individuati numerosi siti che presentano incisioni rupestri di varia tipologia.Ma fra queste, una spicca su tutte per abbondanza sugli altri ed è “il pennato”(i romani poi lo ribattezzeranno la falx arboraria), il tipico strumento che tutti conosciamo che è caratterizzato da una breve impugnatura, una lama larga e lunga 30-40 centimetri e con la punta ricurva in avanti, la cui forma è rimasta inalterata per ben oltre tremila anni.Conosceremo così tutti questi posti dove trovare queste ultra millenarie incisioni su pietra, presenti sui nostri monti, per soddisfare la sete di storia,di natura e di curiosità dell’escursionista che un giorno volesse conoscere (e rispettare) questi luoghi.Cominciamo con il dire che le popolazioni apuane avevano un forte senso del sacro e di tutto quello che era legato alla natura: dal culto della roccia,delle sorgenti e delle vette.Il Dio delle vette era Pen/Pan (probabile radice da cui le Apuane hanno preso il nome), il Dio dei boschi era il Dio Silvano (da cui la

Borra Canala uno dei siti
delle incisioni dei pennati

genesi della parola selva) rappresentato con un pennato in mano, utensile di lavoro e arma micidiale, simbolo degli Apuani.Si, perchè proprio il pennato è legato a doppio filo con la religione e la società apuana e infatti per meglio chiarire i ricercatori si sono posti queste domande:cosa ci volevano dire i nostri antenati con questi segni? Quale messaggio ci volevano lasciare? Le risposte non sono facili da dare ma alcune ipotesi interessanti e veritiere sono venute fuori.Il fatto che queste incisioni si trovino in altura, su rocce panoramiche dominanti, spesso in linea con il moto solare e le vette dei monti farebbe pensare a luoghi adibiti a una funzione religiosa, l’atto di incidere il pennato si può considerare come un ex voto, un dare un qualcosa a Dio Silvano per ricevere poi una grazia, come una caccia abbondante,la vittoria in una battaglia e altro ancora.Da non sottovalutare l’ipotesi che queste incisioni avessero delimitato il sito dove si svolgevano delle riunioni,come ad esempio “i conciliabula” (adunanze nelle quali si discuteva di guerra e di amministrazione).Altra affascinante teoria è che si potesse considerare queste zone come posti dove si facevano riti di iniziazione per i ragazzi ,un passaggio fra l’età adolescenziale e quella adulta, quindi a membro a tutti gli effetti della tribù, si certificava così attraverso l’incisione su roccia la consegna di un pennato vero considerato uno status symbol della società apuana;al ragazzo così gli si apriva un mondo tutto nuovo al fianco di questo suo inseparabile strumento, un mondo fatto di caccia,guerra, religione e lavoro,un utensile indispensabile per l’uomo di

Incisioni di pennati e croci sul Gabberi
FOTO DI STEFANO PUCCI

montagna,uno strumento che diventerà fondamentale nelle battaglie contro Roma.Sappiamo infatti da Tito Livio (storico romano), nella famosa battaglia di Marcione(nel comune di Castiglione Garfagnana) fra Romani ed Apuani (vinta clamorosamente da quest’ultimi)afferma che questa indomita popolazione utilizzò un’arma letale sconosciuta a Roma fino a quel tempo):quest’arma era il pennato(per il caso vedi:http://paolomarzi.blogspot.meglio-dei-300-spartani-l) .Ultima considerazione da fare è che il pennato è stato ritrovato sui monumenti funebri degli Apuani, inciso insieme alle iniziali del nome del defunto, ritrovate queste nei pressi del Monte Rovaio (vicino all’Alpe di Sant’Antonio) e a Campocatino.Adesso guardiamo però dove si trovano queste incisioni rupestri,dove l’escursionista curioso le può scovare durante le belle passeggiate sulle Alpi Apuane.I siti di maggior rilievo sono cinque;alcuni le troviamo sul versante versiliese ed altri su quello garfagnino.
Il primo si trova sul Monte Gabberi il luogo è meglio conosciuto come il “Ripiano dei Pennati” e si trova a 950 metri d’altezza.Si tratta di un piccolo pianoro molto compatto dove sono incisi

quindici pennati (ed altri simboli), i segni sono disposti a semicerchio e questa disposizione secondo gli esperti avvalora l’ipotesi che fosse un luogo dove si svolgevano delle assemblee. Il disegno appare molto consunto da apparire appena percettibile alla luce solare.
Il secondo è sulla Cresta dell’Anguillara, sulla roccia si vede un pennato lungo 40 cm a grandezza naturale, niente affatto stilizzato, vicino ad esso troviamo altri due graffiti più piccoli:un coltello con la punta ricurva e un altro segno indecifrabile (forse un fungo).Risalendo ancora si apre la grandiosa Sella dell’Anguillara, qui si trova la maggioranza dei graffiti, ci sono ben 25 pennati oltre a simboli sessuali femminili e impronte di mani.

Pennati sulla Cresta dell’Anguillara

Arriviamo poi alla Roccia del Sole uno dei siti di arte rupestre fra i più spettacolari, che si trova poco sotto al sentiero che sale al Rifugio Rossi, anche qui abbiamo una grande piastra calcarea (la roccia del sole)dove sono incisi una cinquantina di segni, fra pennati,orme di piedi,di mani,cerchi e rosoni a sei petali.Lo spettacolo è offerto dalla luce radente del sole al tramonto che mette in risalto il tutto e subito da l’idea all’osservatore di essere al cospetto di una roccia dedicata a qualche divinità solare.
Eccoci poi al Masso delle Girandole in località Puntato ed ecco affiorare una roccia di pochi metri quadrati con  una ventina di pennati sovrapposti (scoperti nel 2004)formano  una specie di svastica.

Roccia del Sole: una mano,un pennato e un orma

Infine arriviamo sull’Altipiano della Vetricia delimitato dalla Borra Canala e dai prati dell’Omo Morto,quest’area è un vero paradiso per speleologi che vi hanno esplorato i profondi pozzi verticali,ma non solo, anche per gli stessi archeologi che qui hanno trovato nel 2005 due rocce graffite con lame pennate e una scena di caccia, eccezionale graffito, unico nel suo genere in tutta la Toscana.Altre incisioni sono difficilmente raggiungibili dai “comuni mortali” poichè sono messe in fondo agli strapiombi della Borra Canala.
Dite la verità nessuno pensava che dietro ad un insignificante attrezzo da boscaioli ci fosse così tanta storia ,così tanti significati e pensare che noi lo usiamo solamente per tagliare i rami…Comunque sia anche questa è una storia e una tradizione di un popolo fiero e stupefacente:gli Apuani,la nostra gente.

Dal blog di  Paolo Marzi 2015